Filippo Mastroianni
sabato 2 febbraio 2013
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In occasione del Giorno della Memoria, come ogni anno
tenutosi pochi giorni fa, il 27 Gennaio, oggi SEGNALI DI FUMETTO si concentra sulla Graphic
novel di Art Spiegelman, Maus. Un racconto che rivive una delle più grandi tragedie
dell’umanità: L’olocausto. Uno dei capolavori del fumetto, nonché patrimonio
della narrativa del ‘900.

Siamo agli inizi degli anni ’70 quando un giovane Art
Spiegelman decide di voler raccontare la sua visione dell’olocausto a fumetti,
attraverso la riproposizione delle vicende che segnarono la vita dei genitori e
del fratello, mai conosciuto. Art era convinto infatti che in una società
dettata dalle immagini il solo parlare delle vicenda, con semplici parole,
potesse rivelarsi, vuoto, pesante. Voleva in qualche modo ricercare un mezzo
più assimilabile per affrontare l’argomento e mostrarne i contenuti. Con
l’andare degli anni, del resto, rimanevano sempre meno sopravvissuti e testimoni
diretti. Di generazione in generazione i ricordi rischiavano di farsi sempre
meno nitidi. Art aveva capito alla perfezione che ben presto gli unici
rappresentanti di ciò che era stato sarebbero stati i racconti dei
sopravvissuti, che dovevano necessariamente essere ben impressi su carta o
pellicola per non rischiare di dimenticare. Con questo spirito Art Spiegalman
inizia a pensare a Maus fin dal 1971.
La vera e propria lavorazione inizierà solo nel 1978, con i primi disegni. Un
fumetto che impegnerà quasi 20 anni della vita dell’autore. Un fumetto che è di
diritto una delle graphic novel più importanti di sempre a livello
internazionale.
COS’È MAUS E CHI SONO I PERSONAGGI PRINCIPALI?

Maus è una
riproposizione dell’olocausto sotto forma di fumetto. Ia particolarità è la
scelta di Art Spiegalman di rappresentare gli ebrei come topi, ispirandosi a
diverse fonti. La prima il topo Josephine di un racconto di Kafka, una cantante
che riesce appena a farsi sentire. La seconda il topo ebreo di Krazy Kat, realizzato da George
Harriman, di cui il gatto era innamorato. Il terzo, forse il più significativo,
un film di propaganda nazista che mostrava volti di ebrei intervallati da
immagini di ratti. Inoltre in inglese il termine exterminate, oltre al
significato di sterminare, assume anche il concetto di derattizzare,
disinfestare. Maus non è solo una storia di topi. Ci sono anche maiali (i polacchi)
e gatti (i tedeschi). Il rapporto tra le persone nel periodo narrato non è
infatti umano. Sopravvivenza, vita, cibo, morte. I protagonisti sono lo stesso
Art e la sua famiglia. Il padre Vladek (argomento importantissimo è il rapporto
padre-figlio Art-Vladek), la madre Anja e tutti gli altri. Maus è un vero capolavoro, che riesce a esprimere emozioni ad ogni
pagina. Suscitò sorpresa in molti recensori, quasi stupiti di come un fumetto
potesse arrivare a essere così grande. Maus
è l’esempio di come un’arte snobbata e sottovalutata come quella fumettistica
sia invece ricca di contenuti e qualità paragonabili a quelle della letteratura
classica.
ART SPIEGELMAN, IL CREATORE

Art Spiegelman nasce a Stoccolma, il 15 febbraio 1948, da
genitori ebrei polacchi rifugiati, che si sarebbero presto trasferiti negli
Stati Uniti, a tutti gli effetti la sua patria. Da allora gli Spiegelman
abitarono sempre a New York, nella zona di Rego Park, crescendo il figlio Art
con la speranza di farne un dentista. Aspettative che vengono deluse dal
giovane. Al liceo studia infatti fumetto e illustrazione, iniziando a disegnare
professionalmente all’età di 16 anni. All’Harpur College frequenta corsi di
arte e filosofia e verso gli anni ’70 inizia a lavorare alla Topps, industria
di gomma da masticare, realizzando disegni e loghi per le confezioni, gli
involucri e le figurine adesive in omaggio con le gomme. Sono più di venti gli
anni passati al lavoro per la Topps, anni che influenzano l’approccio di Art
alla comunicazione per immagini. Tra il 1971 e il 1975 si trasferisce a San
Francisco, entrando in contatto con esponenti del fumetto underground dell’epoca,
i comix, che lo porterà sempre a rifiutare il puro linguaggio di
intrattenimento e a trattare tematiche adulte e controverse. Insieme a Bill
Griffith crea Arcade, The Comix rewiew, continuando
a lavorare contemporaneamente a più progetti. Tra il 1975 e il 1985 collaborerà
infatti con numerose riviste tra cui il New
York Times, Village Voice e Playboy,
inoltre dal 1979 insegna storia ed estetica del fumetto alla School of visual
art di New York. Nel 1980 fonderà, insieme alla moglie, Raw, rivista di sperimentazione grafica di fumetti, design e
illustrazione. La legittimazione culturale e artistica del lavoro dei
cartoonist arriverà proprio con la pubblicazione a puntate di Maus, di cui la prima parte viene
raccolta in un volume nel 1986, diventando un enorme successo. La seconda parte
appare nel 1991, confermandosi un caso letterario. Maus viene riconosciuta come una delle opere della narrativa a
fumetti più importanti di tutti i tempi, vince il premio Pulitzer e arrivano
numerose offerte per una trasposizione cinematografica, sempre rifiutate da
Spiegelman. Nel 1993 inizierà poi la sua celebrata collaborazione con The New Yorker, diventandone il copertinista
per ben dieci anni, fino al 2003, quando entra in polemica con la linea
editoriale della rivista. Su proposta del settimanale tedesco Die
Zeit crea la serie In the shadow of
no tower. Attualmente sta lavorando ad un opera teatrala sulla storia del
fumetto, essendone uno dei più gradi esperti. Spiegelman sostiene con calore i
meriti e le potenzialità comunicative di questa arte, convinto che “i fumetti rispecchiano le modalità di
funzionamento del cervello. Le persone ragionano secondo immagini
iconografiche, non secondo ologrammi, e pensano per raffiche di parole, non per
periodi”.

Il segno distintivo di Spiegelman è da ricercarsi nella
grafica e fumettistica americana, rielaborata però in chiave underground. La
sua capacità di riuscire a modificare stili, forme e tecniche di disegno a
secondo della storia che sta raccontando è fenomenale. In tutte però emerge
chiara la sua passione per i comics statunitensi. Un chiaro esempio lo abbiamo
all’interno dello stesso Maus, con la
comparazione che possiamo fare tra il fumetto e il fumetto in esso inserito, Prigioniero sul pianeta inferno. I
personaggi in questo passaggio sembrano usciti da incisioni impressioniste. I
segni sembrano creati appositamente per deformare i tragici ricordi personali,
realizzati da tratti bianchi che spiccano in un nero abbagliante. Art ha la capacità di creare un rapporto
diretto tra autore e lettore, senza personaggi a fare da filtro. Un rapporto
diretto, personale, umano, a volte feroce e straziante. Tutto è perfettamente
studiato e meditato. Per Maus,
infatti, Spiegelman ha contato ben tredici fasi di lavorazione. L’autore non
sente alcun bisogno di differenziare graficamente flashback e presente
narrativo, passando alla narrazione del padre Vladek dalla didascalia al
fumetto, riuscendo a rendere comunque chiarissimo lo scorrere del tempo.
Spiegelman usa elementi grafici propri del fumetto come onomatopee, linee
cinetiche o espressive. I topi di Maus sono
realizzati in modo stilizzato, sono uomini tipizzati, non viceversa. Sono lì
per spiazzare lo spettatore, metterlo a disagio.
“Un’opera notevole, imponente per concezione ed esecuzione,
insieme romanzo, documentario, libro di memorie e fumetto. Geniale, davvero
geniale.”
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