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» DJANGO UNCHAINED di Quentin Tarantino | Recensione
Filippo Mastroianni
martedì 29 gennaio 2013
2
Ci si siede, la sala diventa buia e si parte subito alla grande. Soprattutto per i nostalgici che hanno avuto la fortuna di vedere, almeno una volta, il film di Corbucci. La scena inizia infatti con la stessa traccia che apre l'originale Django, realizzata da Luis Bacalov, facendo da apripista a tutta una serie di citazioni che si susseguiranno durante la visione del film. Citazioni che chi è appassionato del genere non potrà non notare. Nei titoli di testa possiamo già iniziare a segnarci alcuni nomi noti, su tutti, tralasciando gli attori, quello di Ennio Morricone, che fa immediatamente pregustare una colonna sonora di ottimo livello.
Tutto inizia nell'anno 1858, in Texas. Django (Jamie Foxx) è uno schiavo nero, che ha lavorato presso la piantagione di Carucan. In seguito ad un tentativo di fuga viene venduto ad alcuni mercanti di schiavi e costretto a separarsi dalle moglie, anch'essa venduta ma ad altri compratori. Bastano pochi minuti per conoscere i due personaggi cardine di tutta la vicenda. Django appunto, e il Dr. King Schultz, interpretato da un ancor monumentale Christoph Waltz. Il dottore è in realtà un ex dentista originario della Germania, che viaggia a bordo di un carretto, per dirla giustamente alla tedesca, molto kitsch. Come afferma lui stesso, però, non esercita odontoiatria da ben cinque anni perchè si è dato ad una nuova professione: il cacciatore di taglie. E' proprio questo il motivo per cui ha bisogno di liberare e portare con se Django, la ricerca di tre criminali che lavoravano nella stessa piantagione in cui lo schiavo si trovava precedentemente. Ed è da qui che si snoderà tutta la vicenda. Django diventerà un cacciatore di taglie, socio di Schultz e, dopo un periodo di apprendistato e di taglie incassate, si metterà, sempre accompagnato dal dottore, alla ricerca della moglie perduta. La preparazione del piano per la liberazione della donna e la sua messa in atto saranno portata principale della seconda ed essenziale parte del film.
Una trama di per se abbastanza semplice e lineare, da cui Tarantino è riuscito a far nascere un altro esempio di perfetta cinematografia, spalmata in ben 165 minuti di pellicola. Molti se si considera il filo degli avvenimenti, che potrebbero essere raccontati nella metà del tempo, giusti per come Quentin riesce ad introdurre tutte le caratteristiche della sua produzione ventennale, senza tralasciare alcun dettaglio. Un Tarantino che del resto dev'essersi letteralmente sollazzato nel produrre questo film, nell'inserire le numerose citazioni verso un genere che è probabilmente il suo preferito.
In Django Unchained il regista statunitense prende il western e lo "tarantinizza", lo rende proprio. Come ogni spaghetti western che si rispetti l'agitarsi dell'azione è dovuta a quei moventi cinici e personalistici che Tarantino ama tanto: il denaro e la vendetta. In fondo Django e il dr Schultz sono cacciatori di taglie e, volendo citare anche io Leone "In un luogo dove la vita non aveva prezzo, la morte, qualche volta, lo aveva. Per questo comparvero i cacciatori di taglie". Un lavoro sporco, fatto solo per denaro, a costo di andare contro la propria morale. Denaro in cambio di morte. Lo stesso Django si mostra inizialmente sorpreso domandando al collega tedesco "Uccidi uomini e ti ricompensano pure?". L'altro movente è la vendetta. Django uccide per vendetta le sue prime vittime, gli schiavisti della piantagione. Django ucciderà nuovamente per vendetta nel finale del film. Ma una terza molla fa scattare l'azione, ed è l'amore per la moglie. Amore che però, sinceramente, non traspare, è secondario ai fini della scena, è un artificio utilizzato per portarci dove il regista vuole. Non ci è mostrato nella sua interezza, nel modo in cui sicuramente Django dentro di se prova.
Scenari e situazioni care ai film western che sono come detto "tarantinizzate" attraverso l'utilizzo della sottile ironia del regista, dei dialoghi surreali e brillanti, delle scene dal taglio decisamente pulp. Scene crude (come quella in cui uno schiavo viene fatto sbranare da due cani), vere, in cui il sangue schizza ovunque, in cui la violenza è esagerata, fuori misura, ma risulta proprio per questo in qualche modo ridicolizzata.
Il tema dello schiavismo e del razzismo viene trattato in un perfetto mix tra serietà e umorismo. Un umorismo che si presenta in alcune scene in modo rinnovato rispetto al solito Tarantino. In particolare nella gag del Ku Klux Klan, una vera scena comica, inaspettata, che spiazza lo spettatore. Un'immersione di qualche minuto in un mondo che sembra creato dalla mente di Mel Brooks piuttosto che dal regista di Pulp Fiction. Attimi in cui ci si sente in Mezzogiorno e mezzo di fuoco molto più che in uno spaghetti western.
I personaggi, come sempre, sono perfettamente riusciti. Caratterizzati, interessanti, sfaccettati. Che Tarantino crei ruoli indimenticabili è ormai assodato. Tra tutti, oltre al personaggio interpretato da Waltz, spicca la prova attoriale di un irriconoscibile Samuel L. Jackson (ingiustamente dimenticato dall'Academy), che interpreta Stephen, un character da ricordare, un anziano nero scontroso, burbero, cinico, dalla mentalità schiavista. Praticamente un nero con la mentalità di un bianco. Ottime prove anche per Jamie Foxx e Leonardo Di Caprio, che però, come detto, sono a mio modo di vedere oscurati dalla grandezza dei sopra citati.
Inappuntabile la regia, e l'utilizzo degli azzeccatissimi flashback che perfezionano il montaggio. Eccellente anche la fotografia, in particolare le enormi distese in cui si trovano le piantagioni. Sceneggiatura di tutto rispetto, anche se i dialoghi sono meno memorabili di quanto Tarantino ci ha abituato. Colonna sonora azzeccata, tra spaghetti western e hip hop, con la chicca di una traccia cantata da Elisa, ricca di citazioni (Il buono, il brutto e il cattivo e Lo chiamavano Trinità su tutte). Citazioni che come abbiamo detto sono presentissime durante tutto il film. Noterete un epico "Django sei un figlio di..." che richiama appunto il capolavoro di Leone, oltre al cameo di Franco Nero, l'attore che interpretò Django nel film di Corbucci. Piccolo cameo anche per lo stesso Tarantino, che perirà in un modo rapido e violento che vi lascio scoprire.
Un film studiato e realizzato in modo impeccabile dal punto di vista dei tecnicismi cinematografici, con un cast eccezionale di attori, tutti artefici di un'interpretazione all'altezza della loro fama. Django Unchained è forse l'opera che ha dentro più essenza tarantiniana di qualunque altra. Tarantino si lascia letteralmente andare alla violenza, inserisce tutto ciò che lo ha da sempre caratterizzato e tutte le citazioni e le passioni preferite. Un film più simile all'ultimo Bastardi senza gloria che alle sue produzioni precedenti, una rilettura pulp della storia vista dalla parte degli sconfitti e dei più deboli, gli ebrei prima, i neri oggi. Unici appunti una trama forse troppo semplice e con pochi colpi di scena improvvisi, che si dilunga per un buon numero di minuti, e dei dialoghi che, seppur geniali, ritengo inferiori a quelli di altri suoi film. Nonostante questi piccolissimi nei, Django Unchained è per concludere un film da vedere assolutamente, il genio di Tarantino impresso su pellicola.
About Filippo Mastroianni
Un qualunque, ingovernabile, battitore da tastiera. Un occhio osserva la politica e il mondo, l'altro è affetto da un'aggravante cinemania, con sbalzi cinogiappocoreani, giusto per sentirsi alternativo. Anni passati ad immedesimarsi e firmarsi Arturo Bandini, personaggio straordinario nato dalla penna di John Fante. Conclusa la fase della doppia personalità, ricongiunto con me stesso, continuo a scrivere.
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bella recensione, pensa che c'è pure chi ha fatto recensioni negative a questo film...
RispondiEliminaUn bellissimo film. Non il migliore di Tarantino per me, ma sicuramente non riesco a giudicarlo in modo negativo. E che dire, quello che pensavo è gà tutto nella recensione. Gran film.
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