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Filippo Mastroianni sabato 7 marzo 2015 0


Le morti di Boris Nemtsov e Alberto Nisman sono ancora tutte da chiarire. Si opponevano ai loro governi in Russia e Argentina


Boris Nemtsov e Alberto Nisman. Oppositori del governo in Russia e Argentina, scomparsi in circostanze da chiarire.
Mosca, Russia, 27 febbraio. Boris Nemtsov, uno dei leader dell'opposizione a Vladimir Putin, viene ucciso da quattro colpi di arma da fuoco mentre passeggia nel centro della capitale russa, di fronte alla basilica di San Basilio, a due passi dalla Piazza Rossa. Le accuse sono subito state rivolte al leader del Cremlino, ma la situazione sembra molto più complessa, mentre fin dai primi momenti iniziano a circolare le ipotesi più disparate sui possibili responsabili.

Buenos Aires, Argentina, 19 gennaio. Alberto Nisman, procuratore impegnato nelle indagini sull'attentato all'Asociación mutual israelita (Amia), viene trovato morto all'alba, ucciso da un colpo di arma da fuoco nella sua abitazione. La versione ufficiale parla di suicidio, ma una perizia indipendente ha smentito questa possibilità, mentre ancora si aspetta il risultato completo dell'autopsia. 


Due storie lontane geograficamente e nelle motivazioni, accomunate dalla comune scomparsa di un oppositore al Governo del rispettivo paese. Oppositori che scompaiono, in due nazioni non nuove ad episodi simili. La storia dell'Argentina, non un caso isolato nell'America Latina, è una storia di omicidi, scandali, sparizioni. Basti ricordare il fenomeno dei desaparecidos, che tra il 1976 e il 1983 porto alla scomparsa di circa trentamila dissidenti. Anche la Russia ha contato la morte di numerosi oppositori, in special modo tra le file dei giornalisti, il cui nome più noto è quello di Anna Politkovskaja, uccisa il 7 ottobre 2006, proprio nel giorno del compleanno di Vladimir Putin. Due storie che potrebbero portare a conclusioni diametralmente opposte a quelle formulate nelle prime ore, che avevano parlato di suicidio nel caso di Nisman e avevano visto l'opinione pubblica, in particolar modo quella occidentale, scagliarsi contro il Presidente in carica della Federazione Russa.

Caso Nemtsov

Boris Nemtsov, 55 anni, già vicepremier liberale ai tempi di Ieltsin, è da anni uno dei leader dell'opposizione a Putin. La sua carriera politica inizia nel 1986, quando organizza un movimento di protesta a Gorki, a seguito del disastro di Chernobyl, contro la costruzione di una nuova centrale. Si propone come candidato del Soviet del Popolo nel 1986 e nel 1989, portando avanti un'idea politica fondata sul multipartitismo e a sostegno dell'impresa privata, negli anni della perestroika di Mikhail Gorbaciov, gli ultimi dell'Unione Sovietica. Entra in Parlamento unendosi alla Coalizione Riformista Ieltsiniana, affiancandosi al "kamikaze della perestroika" Ieltsin. È acanto a lui che la sua carriera politica decolla, fino al posto di vicepremier della Russia, raggiunto nel 1997. Da qui comincia il declino, che lo porta nel 1999 tra i cofondatori dell'Unione delle Forze di Destra. Da questo momento in poi inizia la fase dell'opposizione dura a Vladimir Putin. Nemtsov aveva già annunciato la sua presenza alla manifestazione contro il presidente russo del primo marzo e alcuni suoi collaboratori hanno dichiarato che era pronto a presentare un dossier sulla presenza delle truppe russe in Ucraina, con particolari compromettenti sul Governo di Mosca. Solo il 10 febbraio scorso aveva dichiarato: "temo che Putin voglia uccidermi".

Stiamo parlando certamente del più importante omicidio politico avvenuto in Russia negli ultimi anni. Normale, a caldo, pensare ad un coinvolgimento del presidente russo. Ma le cose, lucidamente, potrebbero stare in modo diverso. Del resto i bersagli di questo attentato sono stati proprio Putin e la Russia, accusati da tutti i principali media occidentali. Senza entrare in complesse questioni geopolitiche, il buon senso porta a ricordare che Nemtsov era un oppositore fin dal 1999 e che attualmente non era certo all'apice della sua popolarità, in un declino inesorabile nell'ultimo quindicennio. Ben Judah, giornalista esperto di questioni russe, ha scritto sul The Telegraph che Boris Nemtsov  "non faceva nemmeno un passo che non fosse sorvegliato dal FSB, i servizi segreti russi". Eppure qualcosa non torna e sembra complicato pensare ad un coinvolgimento, diretto o indiretto, di Putin, proprio in un momento in cui gli occhi del mondo occidentale erano puntati sugli avvenimenti in Ucraina. Il capo dei servizi dell'FSB, Aleksandr Bortnikov, aveva annunciato, pochi giorni fa, l'identificazione di alcune persone, arrestate oggi, in mattinata. Si tratta di Anzor Gubashev e Zaur Dadayev, provenienti dal Caucaso. L'indagine è stata svolta a supporto del movente "islamista" dietro l'assassinio. Nemtsov sarebbe stato punito, secondo l'ipotesi investigativa, perché nelle scorse settimane si era apertamente schierato dalla parte di Charlie Hebdo. Una motivazione ancora tutta da approfondire e un caso ancora lontano dall'essere risolto. 

Caso Nisman

Alberto Nisman è stato trovato morto il 19 gennaio. Nisman era il magistrato incaricato di indagare sull'attentato all'Asociación mutual israelita. Il 18 luglio 1994 un furgone carico di tritolo esplose nel parcheggio seminterrato del palazzo ospitante gli uffici dell'Amia e della Delegazione delle associazioni israelite argentine. L'esplosione provocò il crollo dell'edificio, causando 85 vittime e più di 200 feriti. Si tratta del più feroce attentato contro la comunità ebraica argentina, la più grande dell'America Latina. Il procuratore lavora per anni sul caso, senza arrivare ad una conclusione definitiva. Da subito il suo lavoro è rallentato da dubbi e corruzione. La polizia federale arriva anche ad accusare quella provinciale di aver fornito il furgone all'attentatore. 

Nisman, messo a capo di una commissione inquirente, ha una convinzione. Crede che il governo iraniano abbia a che fare con l'atto terroristico, e da questa idea partono le sue indagini. Nel 2006 arriva ad accusare alcuni alti funzionari iraniani e miliziani di Hezbollah di aver organizzato l'attentato, secondo la sua ipotesi eseguito poi dal gruppo sciita libanese e da alcune spie iraniane. Gli indizi raccolti conducono dunque Nisman verso Hezbollah e l'Iran, che nega ogni coinvolgimento. Nel 2013, però, il Governo argentino firma un protocollo d'intesa proprio con Teheran, per collaborare all'inchiesta, togliendo al magistrato la piena libertà di indagine. Nisman interpreta il brusco cambio di politica estera come un tradimento, attirando su di se le minacce del Governo. Il procuratore però rilancia. Il 14 gennaio accusa la presidente Cristina Fernández di aver cercato di coprire la responsabilità dell'Iran nell'attentato del 1994, in cambio di favori economici. Nisman avrebbe dovuto parlare alle camere, mostrando i risultati della sua indagine, il pomeriggio del 19 gennaio. 

A quell'appuntamento Alberto Nisman non arriverà mai. All'alba di quello stesso 19 gennaio viene trovato morto, ucciso da un colpo di arma da fuoco nel bagno della sua abitazione. La versione ufficiale parla di suicidio, ipotesi subito sostenuta dalla presidente Cristina Fernández, con una lettera diffusa sulla propria pagina Facebook. Portavoci non ufficiali del governo hanno anche dichiarato che Nisman si sarebbe tolto la vita per la vergogna delle sue bugie, vicine ad essere finalmente svelate nel pomeriggio. Pochi giorni dopo la versione è cambiata. La presidente ha iniziato a parlare di omicidio, sostenendo che sia stato compiuto per danneggiarla. Sulle mani di Nisman non sono state trovate tracce di polvere da sparo, ma secondo le autorità potrebbe dipendere dal fatto che la pistola era di piccolo calibro. Sicuramente è stato trovato nell'appartamento il DNA di una persona non identificata, al momento senza nome. Mentre veniva eseguita l’autopsia i familiari di Nisman e i periti di parte non erano presenti, come invece sarebbe stato loro diritto. I risultati completi dell'autopsia devono ancora essere rivelati. Intanto secondo una perizia indipendente, voluta dall'ex moglie di Nisman, il giudice Sandra Arroyo Salgado, il magistrato sarebbe stato sicuramente vittima di omicidio. I periti contestano alcune conclusioni dell'autopsia, come il crampo sul dito di sparo della vittima, che loro non rilevano, la posizione del corpo nel momento in cui ha smesso di vivere, che secondo i periti di parte è diversa da quella in cui è stato poi ritrovato, e l’ora del decesso, avvenuta la sera di sabato e non domenica mattina come era stato indicato inizialmente. L'altra rivelazione degli ultimi giorni arriva dall'edizione del primo febbraio del Clarin. Secondo il quotidiano di Buenos Aires, Nisman stava per chiedere al parlamento l'autorizzazione ad arrestare la presidente. 

Oppositori che scompaiono

Possibile che la verità su queste due morti non sarà mai definitivamente scritta. Probabile anche che, in special modo nel caso argentino, qualunque sia la conclusione dell'inchiesta i cittadini non ci crederanno. Nemtsov e Nisman scompaiono lasciando dietro di se dubbi, intrighi geopolitici, sdegno e frustrazione da parte dei cittadini dei rispettivi paesi. Storie senza un finale, raccontate perchè possa essere scritto.

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